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Chiesa di S. Bernardino da Siena - sec. XVI



                                   (foto A.Tanzariello)

Testo di Franca Digiorgio

Nel 1497 con lo smembramento del feudo di Camarda dalla Contea di Montescaglioso, Bernardino De Bernaudo ormai legittimo possessore dell'antecedente Bernalda dispose la ricostruzione dell'abitato, che con ogni probabilità era stato distrutto durante le invasioni dei Francesi del 1501 o del 1528, riferendoci a quanto tramandatoci da Filippo Ambrosano nella sua Historia Civica.
L'abitato iniziava a prendere forma nei primi decenni del XVI secolo e contemporaneamente la sua popolazione decideva di denominarla Bernauda, per gratitudine nei confronti del loro feudatario. Così pur esistendo la vecchia Cappella di S. Donato, nella difesa omonima a circa un miglio dalle abitazioni, si rendeva necessario costruire una Chiesa che fosse più vicina e anche più degna del nuovo duca. E nel 1530, secondo quanto affermato dal clero locale nel 1726, il duca Bernardino De Bernaudo con solerzia del suo popolo edificava la Chiesa Madrice, che decisero di intitolare a San Bernardino da Siena, adottato anche come protettore del paese al posto del precedente S. Donato.
Essa era posta di fronte al castello. Dal manoscritto che descrive la visita pastorale dell'arcivescovo Saraceno del 1544 si rileva che la Chiesa Madre aveva oltre all'altare maggiore dedicato a S. Bernardino, altri tre altari con rispettive cappelle dedicate a Santa Maria Maddalena, all'Annunziata e a San Giovanni Battista oltre al Battistero. In questo primo documento da cui si possono desumere notizie su questa Chiesa non è esplicitato l'impianto o la dimensione della stessa, né ci sono tracce del campanile attualmente esistente.
Nel 1726 il Vescovo Giuseppe Maria Positano chiese che fosse redatto un inventario della parrocchia. Dal suddetto si apprende che all'epoca il duca della Terra di Bernalda era il barone Francesco Navarrete, che dimorava nel palazzo baronale sito di fronte alla stessa chiesa, ed entrambe gli edifici si affacciavano nella piazza vecchia (odierna Piazza di San Bernardino da Siena).
La chiesa era a due navate una centrale, a cui si accedeva da una porta maggiore e, una navata laterale che aveva un altro ingresso secondario e più piccolo, sopra la porta maggiore c'era una finestra circolare a ricordo del tradizionale rosone romanico. Il soffitto era un tetto a due falde di legno, mentre sul coro, ad oriente, il tetto era "lammiato". Sul fondo del coro c'era un quadro, con una cornice dorata, raffigurante la Maria Vergine della Scala, San Pietro e San Bernardino da Siena. Nel coro erano disposte circa ventidue sedie per i sacerdoti e quattro per i diaconi e chierici.
In totale la chiesa contava sette cappelle e otto altari, sul lato orientale vi erano le cappelle con i rispettivi altari, ad occidente i cappelloni del Santissimo Rosario e del Purgatorio in linea con il campanile, che impediva la formazione di una terza navata. Sul lato sinistro, quindi, accanto al campanile c'era il cimitero fatto ad opera e spese del rev. Giuseppe Bellantuono, ma mai completato. Comunque sotto la Chiesa c'erano già due cimiteri, che come riportano alcune carte sparse dell'Archivio Parrocchiale di Bernalda, erano uno sotto il Presbiterio in medio cori e l'altro dove ora è il Battistero, riservato ai bambini battezzati o che morivano entro il settimo anno di vita.
La fatiscienza della Chiesa e le sue modeste dimensioni, con cui aveva dovuto servire una popolazione di circa 2.000 anime nel 1600, poi di 7.000 anime nel 1800, avevano costretto il clero ad intraprendere continue opere di trasformazione. La maggior parte degli interventi, oltretutto più visibili, sono stati realizzati nel XIX secolo apportando alla Chiesa una serie di aggiunte e superfetazioni, derivanti tutti dall'unico obbiettivo di renderla un po' più ampia, essendo però costretti sempre ad operare nella limitata ristrettezza economica.
Una ricca cartella, conservata nell'Archivio di Stato di Potenza, raccoglie documenti e lettere risalenti all'epoca che va dal 1819 al 1860, in cui sono riportate esattamente le dispute tra i Decurioni e gli Intendenti di Basilicata, che hanno poi determinato le sorti della Chiesa di S. Bernardino ordinando ricostruzioni e abbattimenti con l'apporto dei tecnici incaricati dei vari progetti, e le lagnanze dei cittadini interessati alla loro parrocchia.
Le vicende suddette, riguardanti la Chiesa Madre e relative appunto al XIX secolo, hanno avuto inizio nel 1815 con l'arrivo in Bernalda di alcuni monaci missionari fasulli, che con zelo e fervore riuscirono a convincere il popolo bernaldese, affinché fosse costruita una nuova Chiesa perché quella esistente era ridotta a tugurio e inadeguata per una vasta popolazione di più di 4.000 anime.
L'intento dei monaci travestiti era quello di farsi contribuire una somma annua di 1.000 ducati, affidando la deputazione all'economo curato dell'epoca, don Giamberardino Dell'Osso. I cittadini entusiasti del progetto di vedersi muniti di una più bella e grande Chiesa, si fecero convincere addirittura ad abbatterne un terzo, la parte migliore, l'unica Cappella detta del Rosario grande. Intanto delle offerte raccolte per gli interventi e gestite dall'economo e da alcuni suoi diletti, una parte, ossia 80 ducati, fu usata per pagare un loro amico ingegnere, affinché facesse un progetto della nuova Chiesa e la rimanente lo sa il solo Economo Curato, li Compagni e l'Onnipotente.
Quando nell'anno successivo ritornarono i missionari, con l'intento di portare a termine il loro progetto, furono ringraziati e rimandati via per la difficoltà di riuscire a reperire altro denaro dai cittadini.
Successivamente quando ricorse la necessità di farsi delle riparazioni alla Chiesa, ci furono delle dispute sulle competenze economiche del clero e del Comune. La gente continuava a seguire i sacri uffici in locali quasi diruti, mentre il parroco anelava ai fondi comunali per le riparazioni e il sindaco Filippo Ambrosano rifiutava in ricordo degli eventi che portarono al crollo della Chiesa. La negligenza del curato, che comunque era incaricato della raccolta dei contributi dei cittadini per la nuova Chiesa, aveva determinato la demolizione del Cappellone inizialmente e poi, lo smantellamento del tetto, non accertandosi preventivamente della necessità di tali interventi e non richiedendo nemmeno il consenso alle autorità. Il rifiuto del sindaco ovviamente fu diffuso come un'opposizione alla ricostruzione della Chiesa, scatenando i fervori cittadini.
Nonostante le perizie fatte i lavori non furono avviati perché nel frattempo si rafforzava l'idea di contravvenire all'incapacità della vecchia Chiesa con la costruzione di una nuova. Infatti lo stesso Arcivescovo di Acerenza e Matera intervenne presso il Sotto Intendente con la proposta di costruzione di una nuova Chiesa dato il numero sempre crescente della popolazione che negli anni Trenta aveva raggiunto le 5.000 anime.
Il paese già nel XVIII secolo aveva intrapreso un ampliamento subito fuori dalle mura, creando i Rioni S. Rocco (intorno alla Chiesa omonima) e Carrera (intorno alla Chiesa di S. Gaetano) e proprio nei primi anni del XIX secolo l'espansione aveva interessato non solo il Rione del Giardeno (presso il Convento dei PP. Riformati), ma un Decreto Legge del re Ferdinando II aveva concesso nel 1830 l'autorizzazione a costruire un nuovo borgo proseguendo sempre verso Nord. Da questo stato di cose alcuni ritennero che sarebbe stato più opportuno costruire la nuova Chiesa nella zona verso cui il paese si estendeva, sia per un maggior agio dei cittadini abitanti nei nuovi borghi, sia perché nel rione vecchio non sarebbe stato possibile adattare un suolo a tale progetto, essendo ormai saturo di abitazioni ed essendo poco conveniente abbattere se pur delle vecchie case per liberarne il suolo.
Il Decurionato riunito appunto nella seduta del 12 marzo 1836 deliberò che doveva mantenersi ferma l'idea di ristrutturare la vecchia Chiesa di S. Bernardino prevedendo inoltre il più volte richiesto ampliamento, acquistando per 700 ducati un magazzino, adiacente alla Chiesa, del sig. Antonio Padula, che già si era detto disposto a venderlo. In questo modo si sarebbe avuto una Chiesa con le adeguate dimensioni di 105 palmi per la lunghezza della navata e 37 palmi per la larghezza, con 48 palmi per il Coro e il Presbiterio; e in più con l'abbattimento delle tre cappelle di 40 palmi di lunghezza e di proporzionata larghezza si sarebbe ottenuto dell'altro spazio nella parte opposta alla navata da cui ricavare altri altari, contenendo le spese, incluso l'acquisto del magazzino citato, in una somma inferiore ai 10.000 ducati. In questo modo, mantenendo anche lo stesso sito e utilizzando i materiali di scarto ricavati dagli abbattimenti, si poteva ricavare un risparmio rispetto alla cifra, che sarebbe stata necessaria per l'acquisto di un nuovo suolo e di altri materiali, considerata non inferiore ai 12.000 ducati. Inoltre si ritenne inutile la costruzione di una Chiesa nel nuovo borgo data l'esistenza in esso non solo delle vicine chiese di S. Rocco e S. Gaetano, ma anche di quella di S. Antonio appartenente al Convento dei PP. Riformati.
Negli anni successivi fu ordinato dall'Intendente di Basilicata di redigere il progetto per le riparazioni da effettuare alla Chiesa e per il suo ampliamento, l'ingegnere Durante fu così incaricato del lavoro, stabilendo di 13.700 ducati la spesa complessiva per le opere da eseguire, incluse anche le spese per l'esproprio di alcune case adiacenti per il previsto ampliamento.
Solo nel 1847 dopo una perizia fatta dai muratori locali, da cui risultò che per 2.244,84 ducati si poteva pensare o di ristrutturare o riedificare la vecchia Chiesa, si richiese l'autorizzazione ad intraprendere le più urgenti opere di ristrutturazione.
Ma gli avvenimenti del 1848 costrinsero il popolo bernaldese e, non solo, a dimenticare per un po' di tempo le vicende della Chiesa, che riemersero nel 1853.
Infatti riportati di nuovo i problemi della Chiesa all'attenzione degli Organi preposti, l'ingegnere Direttore delle Opere Pubbliche di Basilicata, non considerando adeguato basare gli interventi su progetti di semplici periti, affidò l'incarico di redigere un progetto completo di ristrutturazione e ampliamento della Chiesa Madre all'architetto Antonio Ferrara.
Dopo l'affidamento dell'incarico il 4 febbraio 1853, l'architetto Ferrara si recò subito sul posto per un rilievo dello stato attuale della Chiesa e per stilare così il nuovo progetto, che fu approvato dall'ingegnere Direttore delle OO.PP. di Basilicata il 12 agosto 1854.
Dal confronto delle varie descrizioni e piante riportate negli ultimi progetti con lo stato odierno della Chiesa si desume che in realtà mai furono realizzati i propositi di un ampliamento della stessa.
Sicuramente, poi, nella necessità di ricavare spazio per l'ampliamento della parte usufruibile dai fedele, il coro era l'ambiente che più si prestava ad una riduzione, avvenuta in minima parte durante le frammentarie opere della prima metà del XIX secolo, che hanno semplicemente creato uno spazio aperto e più fruibile.
Mentre un più rilevante intervento fu commissionato da don Pietro Stigliano negli anni '20 del secolo corrente, quando il parroco predispose l'arretramento dell'altare sotto l'arcata del coro e la costruzione della balaustra che segnava la delimitazione del presbiterio. Lo stesso Stigliano ordinò al pittore locale Sampietro un pannello con un dipinto che sarebbe stato posto nell'abside a coprire un più antico nonché originale affresco, ma sicuramente già in cattivo stato, che comunque è ancora visibile sulla parete di fondo dell'abside. Sempre del Sampietro è il quadro di Santa Lucia fatto fare per l'altare omonimo posto nel lato destro della Chiesa.
A quest'ultima epoca di lavori corrisponderebbero anche le modifiche su tutto il lato destro della Chiesa, dove dalle visite pastorali si rileva fossero sempre esistiti i tre altari di S. Giovanni Battista, proseguendo, della Santissima Annunziata e di Santa Maria Maddalena, mentre in fondo alla Chiesa, per tutta la lunghezza del coro, era disposta la Sacrestia. In realtà, mentre all'epoca del progetto dell'architetto Ferrara nel 1853 dalla pianta dello stato di fatto appare ancora riconfermata la descritta disposizione, con l'arretramento dell'altare, avvenuto appunto in questo secolo, il locale della Sacrestia fu ridotto e da questo fu ricavata una stanza che tuttora contiene un presepe permanente, trasportato in loco dal Convento soppresso dei Riformati e, un altro altare. Mentre la Sacrestia fu costruita in aggiunta sul lato sinistro della Chiesa, occupando una parte del vecchio cimitero, dove sempre accanto alla navata laterale sinistra fu costruito anche il Battistero, unito così al campanile.
Successivamente negli anni '50 il parroco dell'epoca, don Fumarola, utilizzando i fondi disposti da una legge specifica per i danni di guerra, diede inizio ad altri lavori che però interessarono principalmente la parte esterna della Chiesa Madre. Giunto subito dopo il nuovo parroco don Giuseppe Eufemia poterono essere completati i lavori intrapresi, che riguardavano il rifacimento della facciata principale della Chiesa, alla quale fu innalzato il timpano e oscurato il rosone, avendo predisposto in corrispondenza lo spazio per l'organo a canne e, l'aggiunta di un altro livello al campanile che doveva terminare inoltre con una cuspide.
Si può ritenere travagliata la vicenda della Chiesa Madre, ma ancora più sconcertante è stata la scarsa fruttuosità dei dissidi che per essa ci sono stati, fortunatamente non è stata del tutto demolita né in quel lontano 1815 né successivamente a seguito delle stravaganti idee di rinnovamento. Certo è che le sue vicende hanno stimolato la curiosità di chi ancora tenta di intravedere i segni delle epoche passate o le origini che per alcuni restano ancora oscure, volendole attribuire ai secoli precedenti il XVI, infine rimane l'immagine del suo Cappellone, che può continuare ad essere solo un'immagine formatasi dai documenti che di essa ci parlano, pur potendo anche in parte intravedere le sue probabili fondamenta.
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