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Intervento del Prof. Giuseppe Coniglio

Bernalda > 500enario fondazione città (1977) > Atti del seminario di studi:


Atti del seminario di studi

Da Camarda a Bernalda:
una memoria accusatoria settecentesca

Intervento
Prof. Giuseppe Coniglio
Storico lucano e di Pisticci

Alla luce di quanto emerso dalla lettura e dalla interpretazione di antichi documenti inediti, che possono ulteriormente ampliare aspetti peculiari di storia locale, risultano particolarmente interessanti anche le vicende che riguardano un altro versante di Bernalda, ossia quello ai confini con il territorio di Pisticci e con la provincia di Taranto.
Buona parte della storia di Bernalda si identifica infatti con le lunghe e dispendiose contese per la rivendicazione di terreni e proprietà ma anche con le legittime aspirazioni ad estendere un demanio comunale che è stato sempre circoscritto, quasi soffocato dalle imponenti territorialità di Montescaglioso da una parte e Pisticci, dall'altra. Del resto la maggiore estensione del comprensorio comunale ha sempre rappresentato il traguardo più ambizioso per le varie comunità lucane, che hanno intravisto in questa aspirazione l'unico ed insostituibile mezzo di sviluppo e di benessere economico e sociale.
Bernalda, in particolare, ha dovuto così sostenere lunghe e difficili battaglie sia per ampliare il suo demanio sia per rivendicare quanto già le apparteneva in virtù di antichi possessi, non sempre comunque identificabili e riscontrabili sul "campo", perchè alterati nelle confinazioni.
Per stabilire e rivendicare proprietà e terreni, in genere era prassi comune per tutti i centri quella di rifarsi ad 'antiche carte', diplomi ed atti, che fissavano le delimitazioni con "fabbriche", incisioni e segni apposti sugli alberi, siepi, 'termini lapidei', che nella maggior parte dei casi non esistevano più oppure erano stati modificati volutamente dai feudatari o da quanti si proponevano di impossessarsi illegalmente di proprietà che non competevano.
Nel caso specifico di Bernalda, il discorso ha radici remote e si collega inevitabilmente a quanto accadeva nella vicina Pisticci, che da tempi antichissimi, tra le altre proprietà, possedeva due vasti demani chiamati Salice e Feroleto, confinanti con l'ex feudo di San Basilio (prima ecclesiastico dei Certosini di S. Lorenzo di Padula, dai quali passò alla Reale Cassa di Ammortizzazione e poi alla famiglia del marchese Ferrante di Ruffano) e con S. Teodoro, che apparteneva alla Mensa Arcivescovile di Taranto. Sia i monaci che la Mensa, prima, e successivamente i Ferrante, dopo, usurparono ambedue le difese pisticcesi di Salice e Feroleto, abbattendovi i termini lapidei in diversi modi, tra cui con abusive circoscrizioni di siepi vaganti.
Il feudo di S. Basilio, come è noto, fu concesso nel 1133 da re Ruggero e dalla sorella Emma alla Chiesa di S. Maria di Pisticci e nel relativo diploma ne sono minuziosamente descritti i confini: dal Lago Aunicio a Serra Pizzuta, al fiume Cavone, Vallone Curatillo, monte Fatosa, lago Guardiola, fonte Cripta, costiera dei Frontoni fino a 300 passi nel mare, e quindi la foce del Lago Assafro, selva Frassaneta nei pressi di Tor di Mare, sino alla 'valle dell'uomo morto' per poi ritornare al lago Aunicio.
Una vastissima proprietà quindi che comprendeva, a raggiera, buona parte dell'entroterra e tutta la zona costiera compresa fra i fiumi Cavone e Basento.
In seguito monaci e Mensa di Taranto cercarono sempre di strappare al comune di Pisticci, con mezzi legali e non, alcune proprietà, modificando i confini, per cui nel 17 1 1 la Gran Corte della Vicaria delegò il giudice Francesco Parada a verificare i confini delle difese di S. Teodoro, Accio, Canala, Salice e Feroleto, allora possedute "promiscuamente" dalla Mensa di Taranto e dalla Università di Pisticci. Nel verbale redatto furono riportati i vari confini precisi e impiantati nuovi termini lapidei. Alcune di queste difese confinavano con Bernalda, e di qui si inserisce nella questione anche una nuova situazione, per cui il conte Cesare Coppola, presidente della Regia Camera, incaricò l'attuario Girolamo Ricciardi di circoscrivere altri nuovi confini della 'Terra Bernaldae Provinciae Basilicatae', delimitati da S. Teodoro fino alla via pubblica che conduceva al paese ed all'Accio, nei pressi della casa di Francesco Forte dove fu apposto un sigillo lapideo. Altri "termini" furono apposti a San Vito, Tinchi, Cozzo Fascitello, appartenenti al comune di Pisticci.
Il relativo verbale fu redatto alla presenza di alcuni cittadini di Bernalda, ritenuti "pratici ed esperti delle difese": Giovanni Maria Malvasi, Giovanni Battista Viggiano, Giovanni Camillo Giancippolo, Giuseppe Valente e Gennaro D'Alisandro. I confini tra le proprietà della Mensa Arcivescovile e quelli demaniali pisticcesi furono 'segnati' alla presenza dei testi Pietrantonio Di Stasi e Giuseppe Lo Porto della Terra di Pisticcio; Marcantonio D'Ardia, Giuseppe Grillo e Giuseppe Greco della Terra di Bernalda; Pietrantonio di mastro Antonio, Domenico Andrea di S. Donato e Oronzio Zicola della Terra di Montalbano. Il tutto fu registrato a Bernalda il 12 giugno 1711 da parte del già nominato attuario Hieronymus Ricciardi.
A causa di alcuni abusi, sfruttamenti del suolo e sconfinamenti, che non tenevano conto dei limiti demaniali (anche da parte di pastori e contadini) lo stesso Franciscus Parada Y Mendoza, 'miles Hispanus, judex Magnae Curiac Vicariac in Civilibus', fece redigere altro documento con cui erano vietati pascoli abusivi, come pure non era concessp "acquare sino alli luoghi da noi stabiliti della Terra Bernaldae". Il relativo bando fu redatto a Bernalda il 16 giugno 1711 da Francesco di Saverio Regio, portiere della Ruota e decano della Vicaria, affisso in tre copie a Bernalda e Pisticci nei 'luoghi soliti e consueti'.
Per i trasgressori e per coloro che avessero spostato o distrutto i termini o invaso l'altrui proprietà era prevista una multa di ben 25 once d'oro ed altre pene. Il tutto registrato a Bernalda qualche giorno dopo da Francesco Di Lauro, con copia affissa nel feudo detto di S. Bernardo, nella pubblica piazza. Vi si leggeva, tra l'altro, che "Si ordina e comanda a tutte e qualsivogliano persone di qualsiasi stato, grado e condizione, che sotto pena di once d'oro 25 per ciascheduno controveniente Fisco Regio, ed altre pene ad arbitrio del Tribunale della Regia Camera, non ardiscano nè presuinallo sotto qualsiasi pretesto o figurato colore amuoì2ere li suddetti termini, oppure trasportarli e piantarli in altri luoghi, nè perturbare gli affittatori e loro animali che entreranno nelle mentovate difese; il tutto servata la forma dell'incarico dal Tribunale della Regia Camera con duplicati ordini. Ed affinchè il presente bando venga alla notizia di tutti, vogliamo che si pubblichi nelli luoghi soliti e consueti di questa terra di Bernalda e poi affiggerne copia nella pubblica piazza di detta Terra. E l'esecuzione di quanto ciò l'incarichiamo al Governatore di questa predetta terra di Bernalda, il quale sotto la stessa pena ut supra in caso di controvenzione di quanto di sopra sta ordinato, ne debba subito prendere informazione in nome di detta R. Camera, con il darne subito l'avviso alla medesima per potesi procedere contro li delinquenti."
Dopo un lungo e dispendioso giudizio poi tra Mensa Arcivescovile di Taranto ed Università di Pisticci, per definire le proprietà possedute "promiscuamente", le difese di Salice e Feroleto passarono in possesso dell'Università attraverso le due convenzioni del 1798 e 1802 avvalorate da Regio Assenso e da 'expedit'. La Difesa di S. Teodoro, invece, fu aggregata alla Mensa Arcivescovile di Taranto per un totale di tomoli 5733.
Fu proprio un cittadino bernaldese a battersi energicamente affinchè fosse incrementata ulteriormente l'estensione a favore della Mensa, Giambattista Dell'Osso, agente e procuratore generale di mons. Giuseppe Capecelatro, arcivescovo di Taranto, mentre a difesa del comune di Pisticci si costituirono il sindaco Giuseppe Di Giulio e l'agrimensore Bartolomeo Quinto. Dopo lunghe discussioni, fu stralciata a favore della Mensa una fascia di terra situata in prossimità della pubblica via detta del 'varco di S. Angelo' che da Bernalda conduceva alla collina dell'Incoronata.
Altre usurpazioni vennero attuate nel 1819, allorchè il marchese di Ruffano Angelo Matteo Ferrante fece abbattere i termini di confine, impossessandosi di parte delle difese di Salice e Feroleto e di parte di demanio bernaldese, come venne accertato da una perizia. Da altra indagine del guardiaboschi comunale del 1825 risultò che agenti del marchese avevano innalzato una siepe che si internava per mezzo miglio a Salice ed il I eletto di Pisticci, in quello stesso anno, accertò altra usumazione.
Nel 1830 la proprietà Ferrante fu espropriata e con essa anche le estensioni non sue che furono rivendicate dal comune di Pisticci, per cui fu predisposto un giudizio separato. Tuttavia nel 1848, con l'insorgere dei moti rivoluzionari, il problema non fu più preso in considerazione ed invano il comune di Pisticci cercò di far valere i suoi diritti.
Il sac. Giovanni Minnaja, che allora era l'anima dell'amministrazione comunale, spinto dai reclami della popolazione, riprese nel 1863 la vertenza e verbalizzò le usurpazioni, sollecitando l'intervento della prefettura e quindi la rientegra. Fu così inviato sul posto l'agente demaniale Michele Spagna che accertò che il Ferrante aveva sottratto dai demani di Salice e Feroleto tomoli 1649 pari ad ettari 675, usurpazione avvenuta in due epoche, 1809 e 1828, e che i frutti indebitamente percepiti dal marchese Matteo Gennaro Ferrante erano di oltre 30,000 ducati, come pure che erano stati diverti i termini del giudice Parada. La vertenza, patrocinata dal discusso avvocato Pietro Rosano, fu favorevole al comune di Pisticci.
I termini lapidei che segnavano i confini tra i Municipi di Bernalda e Pisticci furono poi abbattuti nel 1862, da parte di nuclei di briganti bernaldesi delle banda Coppolone ed Egidio, che infestavano il territorio, nella loro lotta personale contro il nuovo Stato Unitario che per loro si identificava anche nei grandi proprietari terrieri che sfruttavano contadini e braccianti. Il grave atto, compiuto dai briganti Nicola Gallitelli (meglio conosciuto come Cinarra), Dornenico Petrocelli e Vincenzo Zambrella, fu segnalato dal notaio bemaldese Berardino Grieco al nipote Luigi Franchi, comandante del Nucleo Mobilizzato dei Cacciatori di Briganti del Circondario di Matera, che subito accorse sui vari posti per ristabilire la legge. Anche Bernalda inviò a sostegno una squadra di guardia nazionale costituita dai tenenti Francesco Sion e Giuseppe Caruso, dall'alfiere Pasquale Dell'Osso e dai militi Giulio Grieco, Francesco Pisani, Pietro Gallitelli, Vincenzo Salfi, Donato Calabrese, Francesco Santarcangelo e Nunzio Salfi. Quest'ultimo, guardiano della 'marchesale Casa di Caruso', venne in seguito ucciso dal sanguinario capobanda Coppolone quando scoprì che aveva ricevuto da Guglielmo Grandille l'importante incarico di indagare sull'attività delle bande brigantesche.
In un primo momento, Luigi Franchi non tenne conto delle comunicazioni che di frequente lo zio gli inviava, ritenendolo, per poi ricredersi, favorevole al brigantaggio.
La lunga e tormentata vicenda delle delimitazioni comunali ebbe termine nel 1932 allorchè definitivamente il territorio comunale bernaldese fu definito e circoscritto attraverso la consacrazione della legge 1748 del 22.12.1932. Furono risolte così alcune "promiscuità" con Montescaglioso (ma continuò il giudizio per altri terreni) e vennero accatastate a favore di Bernalda altre aree fra cui Metaponto.
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